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Nella prima età in_cosciente
pare sia naturale chiedere aiuto
e darne generosamente senza pensarci su
nelle piccole come nelle grandi difficoltà…

fino a quando ci si accorge con dispiacere
che quel chiedere e dare costa fatica
che le turbolenze alienano gli amici
che anche il sorriso di sempre è malcelato
quindi come isole si delineano le riserve
e i limiti ingrati che nella frase:
amici sì ma… fino ad un certo punto

(poiché ciascuno ha da occuparsi della sua parte di negatività
o voglia godersi quella parte di serenità che sente spettargli…)
pare sia confermata la regola sommersa
apoteosi di molte relazioni amichevoli.

Così l’ego disilluso diviene l’unico alleato possibile
per istinto di mera sopravvivenza in casi estremi
o attraversato da quella forza di volontà che
non dovrebbe mancare di sostenerci
anche nelle peggiori delle situazioni.

La forma apparente di chi attinge alla sola forza interiore
definisce quella che viene scambiata
persona fortunata e parimenti egoista
poiché mai chiede aiuto e non ne porge
e se lo fa ne è schivo e di certo non lo palesa.

La persona che il coraggio di vivere
lo nasconde dietro una normalità apparente
e nella solitudine cripta ogni profondo bisogno di pluralità
sacrificata con dolore per esperienze regresse
che segnano, anzi marcano, il cammino solitario.

Avere intorno tante persone e neppure un amico vero
è l’autocondanna di molti, troppi
costringe ad un infelicità che si potrebbe
alleggerire, confortare e rendere sopportabile
se con il dolore si condividessero anche le piccole banali gioie
che pur la vita regala.

 

 

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