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Il fattaccio della tarantata

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pagliara

 

 
Le pagliare erano antichi fienili, o forni contadini, più rudimentali dei trulli, paleolitiche dimore che nascondevano in seno serpi e sacare, ragni e tarantole. Custodivano, muti e freddi, come può esserlo solo un sasso, oltre alla quotidiana miserrima fatica contadina, anche i più orrendi delitti, che maturavano in famiglie numerose, dilaniate dalle litigiose e furibonde diatribe, che portavano financo ad uccidere per un confine di mezzadria o un cesto di fichi. Erano tempi di fame, miseria ed ignoranza, la guerra aveva fatto regredire l’intelletto e proliferare l’istinto innato della prevaricazione in certi individui, provati dalle carenze e da un odio che trasversalmente colpiva se stesso e le persone che un tempo aveva amato.

Tre colpi allu paijaru indicavano a Rosetta l’arrivo dell’amato, due la presenza del padre e quattro dei quattro fratelli che a turno venivano a prendere o portare qualcosa nella casa rupestre.

Una mattina molto presto il fidanzato di Rosetta, Elio, ricevette la cartolina del fronte e preso dall’amarezza volle subito condividere la nuova alla fidanzata. Con l’aiuto della sorella fissò un appuntamento per il pomeriggio, quando tutti erano a riposo dalla calura e dalle fatiche della giornata. La ragazza indossò il suo vestito più bello, stretto corpetto di cotone, abbottonato con cura fino alla fossetta del collo bianco e si recò all’appuntamento, radiosa ed accogliente come il sole d’agosto, fresca di bucato con i capelli intrecciati sulla nuca.

Il caldo era avvolgente e asfittico ma la piccola casetta rudimentale era un eccellente riparo anche se completamente priva di arredi domestici. Elio la vide avviarsi dalla sua terrazza lontana, dalla quale si diramavano le strette vie tortuose del centro, uscire con incertezza di casa e chiudere piano l’uscio prima di percorrere la trada quasi volando, per giungere rapidamente nel luogo del loro incontro.

Avrebbe desiderato prenderla in braccio e caricarla sul traino, portarla con se, in un posto della terra salubre, mondato da ogni male, dove non attecchisce il seme infausto delle guerre, ma il destino da sempre segnato nell’incapacità di reprimere l’odio, insito nell’animo di uomini che nascono per decretare la morte in nome di valori alti, come patria e fede, ma che da sempre perseguono solo la propria misera e deprecabile gloria personale.

La camicia bianca nascondeva un giovano petto che palpitava di amore e sdegno. Con la tristezza dell’impotenza, si avviò a seguirla pensando alle parole che avrebbe dovuto pronunciare per arrecare il minor dispiacere alla sua amata. Il canto monocorde delle cicale accompagnava i passi decisi di Elio, che con un bastone di giunco si faceva largo nel sentiero incerto che, attraversando il campo, conduceva al rifugio, nel quale numerose serpi abitavano le mura di recinzione, serpentelli velenosi che in fondo erano i veri padroni dei latifondi.

Un ombra repentinamente uscì dal folto cespuglio di rovi e con un gesto rapido e preciso inferse un colpo sulla testa del povero ragazzo che tramortito rimase sulla rossa terra con un fiore in mano e una speranza d’amore stroncata. Qualcuno aveva anticipato Elio e forse da tempo tramato contro l’amore dei giovani, qualcuno che con la violenza ora avrebbe dissacrato l’anima alla ragazza in fiore, strappandole le vesti come si fa con i petali del fiore più bello.

Sulla terra un sasso veniva battuto per iniziare una danza funebre, che tramortiva con incessante e cadenzato ritmo la danzatrice dagli occhi di fuoco e dai capelli lunghissimi, sparsi sulle spalle scarne, che ballando spargeva tutto il suo dolore, fino a perdere i sensi e rivoltarsi nella terra, mangiando la cenere di cui aveva coperto la tomba del suo amato tanti anni prima e nessuno ormai poteva toccarla perchè con le sue stesse mani aveva tagliato la gola ad un altro uomo
e tutti dicevano che era stata punta dalla tarantola, che la sua follia era irreversibile era posseduta dal demone del male
dalla bestia che trasforma in carnefici le sue vittime.

Balla…balla…balla ancora ed è tutte le donne costrette a nascondere i crimini subiti e sbattersi a terra e maledirla al ritmo impazzito, agganciato con un filo di musica palpitante e dolore per vivere
del ritmo assatanato nella speranza di liberarsi dal proprio corpo e librarsi esausta, sempre di più, fino a morirne. tarantola

 

 

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