DEDICA:”a mia nonna soletana DOC
Nei tuoi racconti, il ricordo della tua anima di bambina vivace, tanto vicina alla bimba che fui anch’io. Nei tuoi ricordi, i coriandoli di popolare saggezza, pollini di fantasia e amore per il paese natio.
Nella magica via Matteo Tafuri, al numero42, vi era la casetta dei miei nonni paterni. Ho capito poi che è stato un onore abitarci, in quella stradina dedicata all’illustre filosofo ed alchimista, al tempo stimato e conosciuto nelle Puglie. A pochi metri dalla casa dei nonni, c’era il suo “laboratorio”, attraverso un ampio portone arcuato al cui apice svettava l’effige del mago, si scendeva di pochi gradini, in quello che appariva più come cella monastica che come luogo di scienza. Era diventato il nascondino e ritrovo affascinante dei ragazzini, perfetto per i giochi di strada, nel quale ci trascorrevamo pomeriggi assolati , nonostante il divieto dei grandi. Nel tugurio, una pilozza di pietra celava l’ingresso della botola che dava l’accesso alle “segrete”, dalle quali un odore ripugnante frenava ogni curiosità e voglia di addentrarvisi e che erano state la fucina, dove il mago sperimentava pozioni e intrugli misteriosi.
Si racconta, fosse un uomo piccolo di statura e dall’aspetto sgradevole, con la faccia segnata da una smorfia sprezzante che non ispirava simpatia. Si dice inoltre che non avesse contatti di amicizia con i paesani, ritenendoli ignoranti al suo cospetto e s’intrattenesse solo e molto raramente per brevi colloqui, col farmacista, al quale propinava i suoi alambicchi taumaturgici e col curato, col quale aveva un rapporto burrascoso e che per fede si arrischiava a fargli visita proprio in quella sua spelonca, portando l’acqua santa, onde scacciarvi i demoni.
Non si sa se i demoni regnassero realmente in quel luogo sinistro, quello che di sicuro c’era nella dimora rupestre erano innumerevoli gatti, di vario colore e grandezza.
Come fedele esercito di soldati, accompagnavano il mago in ogni suo spostamento, facendogli scudo e ancor oggi, dopo secoli dalla sua scomparsa, abitano lì, nella casa remota e diroccata, con le loro code attorcigliate e i baffi tesi,gli occhi vispi e attenti che osservano i viandanti e sembrano essere in costante attesa di qualcuno…
Forse, aspettano ancora il ritorno del loro signore e miagolano di malinconia.
Nelle sere d’inverno attorno al fuoco di un braciere, i nonni mi raccontavano storie fantastiche: i “cunti”, legati alle origini del territorio salentino. Prima che la mia memoria, copra il loro ricordo, le ho spolverate e trascritte, perché parte importante di un passato collettivo da non dimenticare ,un trascorso personale sereno, legato a persone care che mi han voluto bene e lo so, me ne vogliono ancora.
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