by

 

 

 

Le infradito nuove
erano un volo di rondine
con in bocca una minuscola margherita bianca
attraversavano il campo terso di rugiada mattutina
dove a testa bassa come pudiche suore
si esibivano lavorii di formiche.

Calpestando l’erbetta un profumo forte
di clorofilla si elevò al mio orecchio
era il grido muto dell’erba
l’ultimo asperso nell’etere di dolore
che il maggese esalava
trapassato dall’inconsapevole mio incedere stolto.

Presi a tracciare sul prato immenso un confine
in circolo piccoli sassi mi trattennero il passo
e finalmente rallentando la corsa
ebbi il mio attimo rivelatore
Di poche cose avrei avuto davvero necessità
e a non correre presi la piega:

ammirai una ad una le macchie verdi
d’erba giovane e fragrante
che dal nulla inondavano d’infiorescenze
un mattino di primavera
E la pioggia restava sospesa sulla collina bassa
come sbadiglio nascosto tra le palpebre pesanti
di un pianto trattenuto.

L’erba calpestata piano seppe rialzarsi
poichè si sopravvive al dolore
che pervade ogni angolo della terra
e pure alla mancanza

che sottrae la radice prima del bene
e si dilegua nel nulla

e poi davvero nulla
resta uguale
neppure la facciata regolare dei giorni a seguire

I giorni seguenti
dove il tempo lo butteresti via
nel recinto tra le galline che beccano i chicchi
di un girasole maestoso
e i chicchi e i battiti del cuore non si contano più…
Che grande stupido il cuore
lo avevo visto palpitare nei cartoni animati

bello rosso e dai contorni decisi
mentre in quel grafico di una stanza asettica mi appariva brutto
e scabroso come un organo interno

intento solo al suo compito militare.
Per troppo tempo l’avevo tampinato sulla fiducia
sulla scia di una leggenda mitica
come un eroe senza identità
nella corsa obbligata che è la vita

e mi rendevo conto che in fondo
era stato lui a seguir me, con i miei sbalzi di tensione
anche di certo suo malgrado e senza voglia nè sapore
me

che ostinatamente lo avevo abbinato
alla parola amore.

 

 

by