Ci si affeziona
senza intenzione
col pudore di chi mal s’espone
e con fatica si vince e s’arrende
verso un ignaro interlocutore
che ascolta
con l’apertura e la voglia
di percepire tutti i suoni
inesprimibili
della sofferenza
ma certo anche della gioia
che non ha radici
o per domande non poste
di risposte sospese
sulle inezie fondamentali
dell’essere uomini
dell’essere multipli
versatili, fantasisti della propria ministoria
e al contempo scontati e spenti.
Ci si affeziona così tanto
ad una presenza quasi mistica
che sembra a conoscenza delle nenie della mente
come se non potesse mentire
e nella finzione perfino tradire.
E se così fosse
resta ugualmente cara
invariato il bene
solo perchè ha saputo un giorno
anche soltanto per qualche istante
percepire tutta la disperata, necessaria
estrema voglia di comprensione
solo per quell’attimo
in cui l’interesse era autentico
verso un micromondo
tenuto in ostaggio dalle convenzioni
che ne ostacolano la serenità
rinnegata dalla solita paura
di vivere e di ridere forte
fino a sentirsi come un bambino
che scende in bicicletta
giù per la vallata
e nessuna buca
e nessun sasso lo ferma
ginocchia spellate e scarpe rotte
gomme consunte e freni spezzati
lo fanno andare sempre più veloce
e sempre più giù
a ridere
per fermarsi poi tra l’erba altissima
che dispensa al vento le margherite
per ancora ripercorre il sentiero
col fiatone che esplode nel sorriso
arrivato intatto al tramonto
d’un tardivo sole.