Un piccolo uomo solitario, era sceso vent’anni prima dal treno, in quella stessa stazione parigina, con lo stato d’animo di chi ha lasciato per sempre il passato dall’altro lato del mondo…in un binario morto. Diretto verso un futuro dove niente e nessuno potessero più contare qualcosa nella sua vita, satura di delusione e tristezza, che quella partenza doveva obliare per sempre. Allontanatosi da se stesso, verso una realtà nuova dove potersi collocare assieme a nuove aspettative. I suoi pensieri continuavano ad inseguire il treno e la sua inarrestabile corsa che in un attimo disegnava e cancellava paesaggi stupendi, distese di prati e di boschi distratti da tristi monotonie di pioggia, fluttuante sui tetti desolati di case periferiche.
Nei brevi fermi alle stazioni, i suoi pensieri entravano inconsapevoli negli abbracci e tra le lacrime di passeggeri sconosciuti, per un ultimo saluto che a lui non era concesso , i suoi pensieri entravano al riparo dalla malinconie, nelle valige pesanti dei troppi ricordi ormai da dimenticare. Entravano nei sorrisi spensierati di turisti felici o nei volti dispiaciuti che baciano l’amore della loro vita, pronunciando in fretta qualche promessa e qualche bugia. Tutto quel groviglio di vite destini e pensieri che quasi per certo non si sarebbero incontrate mai più, lo facevano sentire parte del tutto a ritrovarsi meno solo tra le molte solitudini che lo circondavano.
La mattinata gli parve meno dura, anche se insonne, le prime luci del mattino lo lasciavano al triste traguardo di una stazione di provincia, al confine montuoso, segnato da gemme di cristallo, tra la Repubblica federale tedesca e la Polonia.
Paolo, il maggiore dei suoi cugini per parte di madre, lo aspettava. Gli aveva trovato lavoro e un alloggio, in quel posto freddo e lontano, dove anche lui era emigrato anni prima , come tanti, come troppi.
Si abbracciarono commossi, Roberto aveva stentato a riconoscere il cugino che avendo trent’anni ne dimostrava molti di più. <<Avrei preferito che tu non conoscessi questo posto, se ti ci abituerai, non sarà certo peggio dell’inferno, magari uguale…>>. Paolo mise davanti al cugino la crude realtà, che si prospettava molto più dura di quanto mai il giovane avesse potuto immaginare.
Un breve tragitto in una grossa auto usata e dal colore spento, e furono in un isolato fatto esclusivamente da case basse di legno d’abete, di cui era ricca la collinetta circostante, che a quell’ora sembrava comparire piano da un velo di nebbia e vapori.
Come gendarmi , alti tralicci costeggiavano le abitazioni, dalle quali pendevano cordate di fili della luce, era la via Ween –strassen e al numero quarantadue, c’era il suo alloggio. Bussarono, all’interno viveva già una famiglia , erano locali destinati ad almeno due nuclei famigliari, che vi si adattavano per non pagare la pigione. Un tavolo occupava il centro della stanza, accucciati di sotto ,due grossi cani vi dormivano guardinghi , si allertarono e uscirono ad annusare il nuovo “ospite”. La cucina era dunque condivisa , il suo letto era invece collocato nel sottotetto, una mansarda bassa, con solo una finestrella appesa al soffitto, dai vetri tappati con fogli di polistirolo e vecchie sciarpe di lana arrotolate. Una lotta impari contro il freddo, poiché la temperatura notturna raggiungeva punte di gelo, in quel posto avaro anche di sole e del suo tepore.
La prima mattinata di lavoro lo accolse col candore d’un’impietosa freddezza, nel buio della fila di lampioni, mute sentinelle della via lastricata dal ghiaccio. Da quel giorno, per molti altri giorni, Roberto avrebbe lasciato il suo alloggio nella notte fuggente, per ricalarsi nella notte perenne della galleria della miniera.
Un destino condiviso con qualche centinaio di uomini, che scavavano le viscere della terra per la propria sopravvivenza. Immersi in quella dura realtà, sparivano i ricordi e il passato, l’unico desiderio era quello di rivedere la luce del sole o sentirne la carezza nei giorni di festa. <<Poveraccio!>>,pensò dell’uomo riflesso nella vetrata del grande portone d’uscita dal cantiere, in quello che era stato il primo giorno di lavoro…poi ritrovatolo nello specchio del suo bagno, capì di dovere compassione solo a se stesso.
Erano trascorsi due anni dal suo arrivo, due lunghissimi anni di sacrifici, quando avvenne un caso fortunato, che lo avrebbe sottratto a quella realtà durissima.
La moglie francese di Paolo, Enriquette, ereditò un vecchio hotel proprio a Parigi. Questo evento consentì loro l’opportunità inaspettata di poter cambiare vita. Paolo portò con sé Roberto e tutti i compagni di sventura che poté, man mano che gli affari lo permisero. Col suo altruismo, offrì loro la possibilità di condividere un futuro migliore, nel quale veder nascere e morire il giorno e conservare la propria identità di uomini, che un lavoro troppo estenuante tendeva ad annullare. Se fosse rimasto giù in miniera, probabilmente oltre ad una vita difficoltosa, non avrebbe mai potuto incontrare Lei.
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