Angiola, non contava più le calende
si assestava sulle gambe magre
e dal letto, volgeva alla finestra
lo sguardo ignavo.
Spettinati capelli restavano fermi
sul capo ispido
Una ruga lunga
separava i pensieri belli dal dolore.
Angiola aspettava l’estate
e dal quarto di spiaggia
vedeva avvicendarsi la vita migliore
componimento di parole e canzoni
per grandi amori da nascere e finire.
Osservava tutto con minuzia, immobile
la malattia l’aveva resa come una fontana di ghisa
in cui l’acqua scorreva, a tratti inutile spreco
a tratti indispensabile
ad abbeverare viandanti, animali ed uomini
che ne attingevano grati.
La sua vita fluiva
come l’acque del fiume in secca
e sentirne il peso dell’inutilità
era un lento morirne.
Era un destino da dimenticare
nell’attimo stesso in cui
col palmo della mano
catturava la pioggia copiosa di settembre
e bevendo in una fonte nuova
Angiola riassaporava
il gusto del vissuto e del vivendo.
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