Lory ebbe la sua creatura verso la fine della primavera, quando il profumo delicato dei fiori è sostituito dall’acredine di frutti acerbi, sugli alberi rinverditi dalla linfa nuova, distesi sulla campagna: trionfo della vita, che instancabilmente si rinfranca e si rifà il maquillage con i colori più fantastici e vari attinti dal dio sole.
Anche nella casa colonica, un grande fiocco rosa annunciava l’altra vita, che veniva a rallegrare l’autunno dell’abitazione campestre. La piccina era meravigliosamente bella e la vita che si rinnova rimane il grande miracolo che investe le madri di una grazia indescrivibile, un guizzo di felicità che illumina tutto il percorso difficoltoso della vita. Lory, pallida e bellissima, con i capelli sparsi sulle spalle e gli occhi lucidi e stupiti, guardava amorevolmente la piccina, un unicum sacrale, essenza profonda e intima della natura umana.
Roberto, avvertito dalla sua famiglia tornò per dare la paternità alla piccola, senza rispondere allo sguardo di Lory, forse per non restarne preso, le parlò in fretta: “Lo so, sarai la più tenera delle madri, ma io non posso. Considera la mia lontananza un dono, l’unico che ti posso fare.”
Fu fuori dalla stanza, ne uscì per sempre, lasciandola con quel “Perché?” sulle labbra, che poi sarebbe diventato dolore insostenibile, un continuo chiedere senza capire, che lentamente l’avrebbe allontanata dal reale, offuscando la gioia stessa della maternità, poiché la ragionevole gioia si smarriva in quell’abbandono. La razionalità affogava negli abissi della solitudine, di un essere ferito incolpevolmente, facendo emergere un’altra personalità, debole, troppo per lottare contro chi guardava a quel caos esistenziale, definendolo “pazzia”.
I parenti di Roberto, che sentenziarono la malattia di Lory, non erano cattivi, ma l’ignoranza, il pregiudizio e la superficialità possono essere causa di danni irreparabili, come anche di crimini efferati.
La piccolina aveva tre mesi, quando non si ritenne opportuno che allattasse al seno della madre e, sotto la pressione dei parenti, il medico di famiglia consigliò il ricovero “coatto”.
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