Gli ultimi giorni di vacanza, Ester li trascorse tempestando Lory di domande. La sua curiosità di bambina la rendeva impaziente, fino a che finalmente arrivò quel primo di ottobre e il suo primo giorno di scuola.
Ora davanti allo specchio c’era una bimba e il suo grembiulino rosa, col colletto bianco, bordato da un pizzo checchierino e da un grande fiocco di nastro, anche esso rosa. Una cartella colorata, piena di novità, come scatola cinese, l’aspettava riposta su di una seggiola. Il bel visino sorridente e curioso trasmetteva la sua voglia di vivere al mondo circostante. I bei riccioli castano-dorati erano stati raccolti in una coda, che un altro fiocco di raso teneva legata. Stavolta, anche Lory sorrideva della felicità riflessa che vivono le madri, quella felicità che può anche commuovere e Anna, che non poteva mancare in un momento così importante, le trovò abbracciate, come prima d’ un lungo viaggio. Piansero assieme, come tre bambine.
Era, in un certo senso, un lungo viaggio con cambio direzionale, quello sarebbe stato il primo di tantissime mattine che Lory avrebbe trascorso in solitudine, ma anche il primo di una lunghissima serie di giornate, che avrebbero regalato ad Ester nuove amicizie, nuove esperienze e nuovi affetti.
Ogni giorno infatti, di ritorno da scuola, Ester avrebbe reso la madre partecipe di ogni novità e amicizia descrivendole ogni nuova conoscenza, bambini, portinaia, bidella e in particolare la maestra Laura.
Da quel giorno il diario quotidiano di Ester ricco di minuzie, teneva aggiornata Lory che si sentiva più tranquilla e in parte riviveva nei ricordi, esperienze molto simili a quelle della figlia. Imparò a conoscere la maestra Laura, che preferiva all’autorità dell’insegnante la comprensione materna.
L’incontro più significativo fu Paoletta, una bimba dagli occhi e dai capelli nerissimi, lunghi, solitamente intrecciati da un’unico lato, alla quale Ester volle subito un mondo di bene e come lei, le si affezionarono Anna e soprattutto Lory. Con allegria e tenerezza, Ester raccontava della sua amichetta del cuore, dell’amicizia che diventava sempre più profonda, poiché, talvolta, il sincero affetto tra bambine rappresenta uno degli accadimenti più autentici che è dato vivere su questa terra. Lory sapeva bene quanto contasse l’amicizia nella vita.
La sua con Anna, l’aveva salvata dall’abisso della follia, un dono del cielo tra tante dolorose vicissitudini. Ma nella vita si ha sempre da imparare e lei imparò molto da quell’amicizia tra bambine, poiché avvenne qualcosa di inaspettato ed infelice.
Sembrava che l’inverno fosse terminato, le giornate si allungavano lentamente e l’aria diveniva più tiepida , ma quel giorno Ester tornò da scuola col gelo nel cuore piccino, rifiutò anche il cibo, guardò la madre per poter finalmente esternare la ragione di tale tristezza, era lì anche Anna, e ad entrambe comunicò che Paoletta si era ammalata di una malattia misteriosa che la teneva a letto da una settimana. Anna e Lory la consolarono e le promisero di accompagnarla a far visita all’amica tutte le volte che lo avesse desiderato.
Da quel giorno e per più di un mese, Ester portò i compiti a Paoletta e le tenne compagnia con affetto sincero.
Trascorso il lungo mese di marzo, Paoletta tornò a scuola, Ester e tutte le altre piccine rimasero un po’ turbate, poiché la loro amichetta, così spensierata e allegra, sorridente e giocosa, ora non era più la stessa. La sua mamma la sorreggeva, le sue gambette non avrebbero più potuto correre come un tempo, una delle due braccia cadeva inerme e la sua mano era gelida priva di linfa. La “polio” aveva lasciato il suo atroce segno su quel corpo bambino, ma la testa era rimasta incolume e Paoletta era in grado di capire tutto, malgrado non si sarebbe più potuta esprimere come un tempo con le parole, i suoi dolci occhi neri, velati da una nuova malinconia, sorridevano alle compagne, per comunicare loro la gioia di rivederle. La sua mamma l’aveva riportata a scuola perché la vita doveva continuare, tutti gli altri bambini e non solo avrebbero imparato da lei qualcosa di unico e prezioso: il coraggio di vivere.
Tutti le vollero più bene di prima, se ne presero cura, senza pietismi, accompagnandola con amore nei piccoli gesti quotidiani che le era impedito compiere.
Durante la ricreazione, facevano a gara nell’accompagnarla per corridoi e lei si abbandonava con fiducia alle sue amichette, che si sostituivano a quel braccio e a quella gamba che giacevano inermi. Anche la sua voce emetteva ormai dei suoni, ma anche quelli col tempo era stati decifrati, e più nulla sfuggiva alle sue compagne che la comprendevano benissimo, perciò Paoletta ricambiava sempre col suo enorme sorriso, quel sorriso che era un canto di ringraziamento profondo come l’eterna amicizia. Ester era sempre la più brava a meritare i sorrisi della sua amica, lei, che aveva imparato a guardare negli occhi la sofferenza da sempre.
Pregò la madre di Paola di portarla un giorno a casa sua, nella casa colonica a giocare e respirare il profumo dei campi e del roseto, per continuare a condividere la vita, assieme, anche in maniera diversa. La forza di volontà delle due bambine fu d’esempio per Lory, che guardò ai suoi problemi da punti di vista sconosciuti. La madre di Paoletta e tutte le madri che come lei dovevano affrontare una vita segnata dalla sofferenza fisica delle proprie creature, le fecero apparire insignificanti le sue piccole pene che prima l’angustiavano. Quando la vita ti presenta il suo aspetto peggiore, il conto più alto perché riguarda un figlio, allora capisci il vero valore e dai il giusto peso ad ogni cosa, anche alle più piccole che prima apparivano scontate ed insignificanti.
La vita di Lory cambiò, cominciò a scorrere più serenamente. Una pace ritrovata, una ragionevolezza nuova, nuovi orizzonti che si specchiavano ora negli occhi adolescenti di Ester.
Le ansie di un tempo ora erano domate e se ogni tanto riaffioravano, sapeva come gestirle, nel ricordo del suo dolore di bambina, che guardando il volto preoccupato della madre, sentiva tutto il peso dell’impotenza per non saperlo o poterlo alleviare.
Il nido natio, avaro di carezze e coccole, le aveva riservato un’infanzia fredda: i genitori, autoritari e schivi, le avevano procurato tante piccole spine di dolore muto, inespresso e inconscio.
Neppure con gli anni era riuscita a migliorare il rapporto genitoriale, anzi per certi versi si era inasprito, tanto da portarla a relazionarsi soltanto con persone che non assomigliassero affatto ad essi.
Per contrapposizione al modello materno esigente e proibizionista, si ripropose di non aspettarsi nulla da alcuno, di non negare o proibire qualcosa senza averne valutato gli aspetti e comunque preferendo il consiglio al diniego.
Attuare i propositi non sarebbe stato facile, lo capì poi, la paura di sbagliare la rendeva ansiosa poiché essere genitore era un ruolo insidioso, ancor di più per una madre sola. Così, tra mille ansie nascoste da sorrisi, volarono stagioni su stagioni, che resero ogni giorno di più madre e figlia, una il complemento dell’altra, per quell’invisibile vincolo naturale che le univa.
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