Una Parigi ancora immersa nella nebbia, scorreva attraversata dal filobus, che fluttuava facendo intravedere le viuzze medioevali del centro, accostando la Rive Droite della Senna.
Gli occhi dei ragazzi, catturando le nuove immagini, le spostavano tra i ricordi, che come un album fotografico in movimento, suggellava emozioni irripetibili . Ester guardava quei luoghi dove la modernità compariva, senza riuscire a distrarre dall’infinito romanticismo Parigino.
Quasi specchiata nell’acqua scura della flumense, rivide in un flash, la foto ingiallita nell’agenda di mamma. Gli occhi color cobalto, la fierezza di uno sguardo poco più che adolescente, le ciocche disordinate di capelli corvini, spettinate da pensieri ribelli che ora avevano lasciato il posto a una leggera calvizie e a qualche capello grigio…, ma era lui, quella parte di passato, mai passato veramente …il suo papà. Forte si insinuò in lei il desiderio di scendere, ripercorrere in fretta la strada a ritroso per guardare in faccia a quell’incognita d’affetto che la vita le aveva permesso d’incontrare, ma preferì aspettare, per non dover dare spiegazioni.
Sedeva accanto a Luca, che aveva colto la sua irrequietezza, attribuendola al viaggio e alle sue novità.
L’accoglienza ai ragazzi nel liceo francese fu di grande cordialità, prolifica di scambi culturali ma anche di idee, opinioni che avrebbero migliorato la loro evoluzione, rafforzando la consapevolezza che solo la cultura rappresenta da sempre la leva in grado di migliorare il genere umano. In una giornata ricca di eventi, Ester e il suo gruppo conobbero molta gente nuova, tra studenti e insegnanti. Malgrado ciò, il suo coinvolgimento fu parziale, per una logica conseguenza dell’ incontro mattutino.
Tornarono in hotel, dopo aver cenato ed era già buio. Se attraversare Parigi di giorno era stato meraviglioso, a ripercorrerla di notte se ne percepiva la magia.
Gli occhi dei ragazzi, incantati dietro ai finestrini appannati del pullman, brillavano come i mille lampioni accesi per le vie. La musica stringente e passionaria della fisarmonica di un artista di strada conduceva ai vicoli della città peccaminosa e mondana, esposta ai forestieri con impudica innocenza, lasciando all’immaginario il proseguo della notte. Brevi vicoli sfumavano verso il centro di una città assonnata, che si lasciava comprare dai turisti, senza donarsi realmente, da donna vissuta ma ancora bambina qual era …semplicemente Paris, gocce eterne di vita piena, diventate stalattiti di sogno e d’incanto: leggenda.
I ragazzi, stanchi e sorridenti, scesero a fine corsa, visibilmente felici, della felicità entusiasta che accomuna i viaggiatori, quando le regalie del viaggio superano di misura le proprie aspettative. Il portone dell’hotel lasciava intravedere la hall deserta, che li attendeva per una bevanda calda, prima del riposo notturno. Il maitre alla reception li aspettava per la consegna delle chiavi.
Ester si mise in coda, per rallentare l’incontro e osservare quell’uomo, quindi prendere tempo e osservare quanta parte di sé, in quel viso lontano nel tempo. Fu il suo turno, tirò un profondo sospiro, che non sfuggì a Luca, che le sorrise e pensò fosse solo stanca, come lo erano tutti. La testa della ragazza era in stand-by, una sensazione di attesa, consapevole di aver sempre saputo che un giorno sarebbe successo, che il puzzle si sarebbe ricomposto. Un ultimo passo per avvicinarsi a lui che era stato solo un’ombra del passato, ma non ne provava rancore.
“Mademoiselle, … o meglio signorina Sabba, prego” le disse gentilmente l’uomo, porgendo la chiavetta dorata della camera e non riuscì ad aggiungere altro, poiché incontrò vicinissimi gli occhi profondi della fanciulla, che erano anche i suoi. “Ester, sono solo Ester”, disse piano la ragazza, emozionandosi. Fino a quel momento, non era stato certo sul da farsi o sul dire qualcosa che potesse farle del male, non si capacitava di come l’avesse potuto riconoscere. Si sentì spiazzato, nudo nel suo intimo, come un diario segreto aperto davanti ad una piazza gremita e letto a gran voce, colmo di tenerezze mai dette, e bramate e represse …Dopo un lungo istante d’incertezza, completamente in balia dell’emozione rispose “io …Roberto”, pronunciò il suo nome come si rivela un segreto inconfessato e avrebbe desiderato esser lontano, in un’altra sala e forse ancora giù nella miniera, per occultare l’imbarazzo.
Nel leggere il cedimento la ragazza continuò “Ester, quella che non avresti mai voluto incontrare, mentre io ti ho aspettato e cercato sempre, nel viso dolorante della mamma, in quella tristezza che ha bisogno di ragioni e risposte …”
Roberto provò il disagio di un tempo. Si allontanò per riordinare i pensieri, che si erano rifugiati nel seno della sofferenza più remota e presente al contempo. In fondo era sempre stato così, l’estrema emotività gli impediva di esprimersi davanti a situazioni complesse, dalle quali cercava la via di fuga, l’unica che gli apparisse percorribile. Era fatto così, ora avrebbe preferito fuggire, gettare il fardello di sentimenti e sparire, tornare nel pozzo della miniera, come un animale braccato da i suoi stessi errori…
Oppure partire …”perché andare lontano .. è un po’ uguale a morire …”, quella canzone italianissima di Dalla gli ritornava alla mente, specie quando la nostalgia lo rendeva estremamente vulnerabile. Emergevano tutti i suoi limiti e le contraddizioni, gli era sempre risultato difficile condividere i sentimenti, cercare di risolvere le inevitabili difficoltà, permettendo a questo lato irrisolto del carattere di sopraffarlo e tracciargli il percorso esistenziale.
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