Aveva preso solo tre pesci quel giorno, solo tre miseri pesci, non aveva rimediato neppure la cena per casa, erano in cinque, non contando il grosso cagnone Ragby e la micia gravida.
Samuele era disperato, ma a sera tarda e quasi al buio non poteva che tornarsene e sperare che almeno la moglie avesse venduto qualcuno dei suoi preziosi merletti alle turiste di passaggio.
Il sole si tramutò presto in un pesante panno rosso scuro e poi sparì. La barchetta, che conosceva la rotta, ondeggiava e, spalleggiando il vento, si condusse come automa al porticciolo colorato del paesino di mare.
Poca voglia di sorridere e troppa stanchezza rallentavano il passo di Samuele, che presagiva la delusione della compagna e le facce dei figlioli.
Con la nassa in mano si sedette al muricciolo della radura salmastra e senza accorgersene iniziò a piangere, e ricordò il tempo in cui quel mare era saturo di pesce, quando la pesca prometteva il sostentamento certo e una vita salubre. Tanto tempo prima che arrivasse la siderurgia, ad avvelenare per sempre la sua terra, la sua vita, la sua famiglia e quella di molte altre, che al progresso avevano creduto e per pochi denari, senza neanche accorgersene, gli avevano abdicato il futuro.
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