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Il mietitore

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IL “TRISTO” MIETITORE

Gechi giurassici, abbarbicati tra edere e soffioni, ombreggiati da foglie di fichi e piante di cappero, popolavano le mura del paese e osservavano indolenti la carrozza che lenta e funesta, si avvicinava all’abitato.
Chicco quella notte più che nelle precedenti era insonne, preoccupato e in ansia, per la fatica del giorno imminente.
Le estati del sud erano particolarmente afose, con l’umido che fastidiosamente fungeva da collante tra cute e indumenti, fino a dare una fastidiosa sensazione di “bollitura”del corpo.
Zanzare operose e caparbie, a schiere e truppe si accanivano inoltre su corpi inermi, che invano tentando di allontanarle
rimediavano solo schiaffi e pruriginose bolle di sangue, alla stregua dei vampiri del sud.
Nella casa di via Matteo Tafuri, un debole stoppino perpetuo, illuminava le icone imperfette di chi non c’era già più. Sul comò di marmo grigio e legno intagliato, posto di fronte al lettone in ferro battuto, alto di materassi morbidi, riempiti di lana candida, pazientemente cardata dalle mani operose ed esperte della padrona di casa.
Simina, stesa nel lettone con i due figlioletti era in continuo dormiveglia, un occhio alla prole e l’orecchio attento ai sospiri del consorte, di cui avvertiva e soffriva tutta la preoccupazione. In quattro nel lettone era impossibile starci! D’inverno, il calore dei corpi era di conforto al freddo non torrido , ma abbastanza incisivo. D’estate, l’unica soluzione era che Chicco, preso un sacco di lino, lo posasse accanto sull’uscio e, ripiegata la giacchetta feriale, si preparava il giaciglio, come un pastore del presepe quotidiano, vi si accucciava, per ricavar sollievo dalle insidie del caldo. Ma il risveglio era quello di un uomo ancor più stanco e intorpidito, ogni notte trascorsa era sempre più faticosa e difficile da superare. Quella particolare notte, era la vigilia della mietitura, come ogni anno, sarebbe stata completamente in bianco, passata a scrutare il cielo, nella preoccupazione che un improvviso temporale estivo bagnasse il raccolto, mandando tutto in malora. Pensieri come zanzare e zanzare come pensieri, con il caldo tallinante dell’estate ed il sonno che diventava chimera.
L’ora tarda non lo costringeva all’oblio desiderato e Chicco guardava verso l’orizzonte, cercando l’alba di un sole che era ancora dall’altra parte della sfera. Chiuse gli occhi e dopo pochi istanti udì il trotto di una pariglia di cavalli. Raro a quell’ora che s’ addentrassero carrozze per quelle stradine strette in vicoli per passo d’uomo, ma la carrozza era diretta proprio in direzione di casa sua, che conduceva alle strettoie, evidente segno che i passeggeri fossero forestieri.
Incuriosito, Chicco si avvicinò, e una voce dall’interno gli disse: “Siamo forestieri e giriamo da giorni attorno al Cupone, siamo diretti alla masseria di TorrePinta, dove ci aspetta Tamborrino”

van gogh mietituraIlCupone era la fitta boscaglia che circondava il paese, e lo teneva al riparo da assalti di briganti, poiché impervio per i forestieri ma anche per chi era nato lì. A quell’ora,solitamente buia, perché anche la luce a petrolio in strada iniziava a scarseggiare, la lanterna del cocchio emanava un bagliore intenso e non sfuggì all’occhio vigile del galletto del pollaio che, credendolo albore, tirò uno squillo di spavento e poco mancò non svegliasse l’intero paese.
Chicco, dunque, si avvicinò in fretta alla carrozza e si affacciò all’interno per rispondere al suo interlocutore. Il braccio gli rimase fermo a mezz’aria nello scorgervi due scheletri, riccamente vestiti, dall’odore nauseabondo.
Era la carrozza della morte. Tornò in casa e richiuse la porta, mettendoci dietro una màdia. Si lavò la faccia nel catino di latta e iniziò a ripetere mentalmente tutte le litanie del rosario. Intanto era giunta l’alba.
La carrozza fuori non c’era più, al suo posto dei gatti rosicchiavano una carogna. Chicco corse alla stalla, sellò il suo asinello, dopo averlo strigliato e sfamato. Quindi, presa la falce si avviò con le gambe tremanti e l’incedere lento verso i campi. Sarebbe dovuto arrivare per primo e invece i due uomini che aveva contrattato nel pomeriggio precedente, come giornatieri, erano già lì, nel suo podere, e
falciavano con vigore.
Chicco aveva ancora negli occhi il cocchio e i suoi passeggeri, la triste carrozza lo aveva incupito. A metà percorso della stradina sterrata che portava al suo campicello di un ettaro e trenta are, della contrada PalumboAlaci detto Melaci, i cani della masseria dei”Pizzimeni” gli sbarrarono la strada, come per impedirgli di proseguire.
Il mulo spaventato si fermò di colpo, dando anche qualche calcetto allo steccato. Chicco chiamò subito il fattore Giovanni col quale era solito scambiare opinioni sul tempo e sul raccolto e Giovanni fu meravigliato di vedere che i suoi cani erano liberi dal guinzaglio e stranamente irrequieti verso una persona a loro conosciuta e benevola.

-Buona nuova a te, Chicco, non capisco, erano legati di certo, saranno stati li “sciacuddri” stanotte – disse anche un po’ per scherzare – Io li ho visti-..rispose Chicco in tono grave…Veramente stanotte le cavalle nitrivano…e ‘stamattina le ho trovate con la criniera
intrecciata..-continuò il fattore,ora serio e preoccupato-…-Niente di buono,..niente di buono-..aggiunse Chicco e proseguì
triste,verso la sua giornata di raccolta.Proseguì con le preghiere iniziate la notte,il presagio era malevolo
ma lui,era un uomo di fede e la preghiera gli donava il conforto e il coraggio.
Il lavoro di mietitura fu duro e faticoso.Venne falciato tutto il grano,sistemati i covoni,col sudore che si fermava nei pori
della pelle,diventando rovente e poi gelido dallo sforzo.Tutto il giorno,tutto il sole,la gran parte della fatica,gravava
sul povero contadino,che aveva in testa solo un obbiettivo,sfamare la famigliola.Sognava le madie piene,i canestri colmi
Inondare la casa del profumo del pane delle friselle croccanti e rugose,cosparse dell’olio nuovo,origano e pomodorini
succosi,coltivati da lui stesso a file parallele,che servivano da condimento alla pasta’ncannulata. Fu duro lavoro
e anche Simina e i ragazzini erano giunti per aiutare e portare la brocca dell’acqua e del vino rosso,per rifocillare
i giornatieri. Simina affiancò il marito e non fu da meno..i ragazzini assemblarono piccole fascine,con le spighe lasciate
sparse nel campo.
Le ore passarono con lentezza infinita,ma il raccolto fu dei migliori.I sacchi colmi di oro biondo e profumato
La campagna sprigionava pura sinergia tra uomo ed elementi,il sole era in declino,ma colorava il cielo di riflessi
fruttati.
Chicco e la sua famigliola,rincasarono felici di gioie semplici,abbarbicati al traino del mulo,che era anch’esso stremato.
L’Essenza delle loro esistenze era tutta compresa,in quel lavoro di raccolta e preghiera.
Ma,anche le gioie semplici,hanno un epilogo,drammatico ed irreversibile.-Dacci oggi il nostro pane quotidiano…-fu l’ultima
preghiera…Come accadeva spesso da quelle parti,dopo tanto lavoro al solleone,una febbre maligna colpì anche il povero

Chicco,che prese a tremare come una foglia.Tutte le coperte di casa non servirono a confortarlo dagli spasmi del freddo
che in meno di un’ora lo condussero alla fine. Morire di fatica,di insolazione,di malocchio…Il medico di paese
stesso non sapeva dare spiegazione,alle frequenti morti di questo tipo,..tutte improvvise,tutte dopo la raccolta del grano
o del tabacco…
Così una grave assenza,segnava il futuro di quella famiglia,come ne aveva segnate altre in passato e purtroppo a seguire…
Morivano così i contadini del Sud,in religioso lavoro,con nel cuore la gioia piena di aver riempito i granai,assicurando
il cibo al loro bene più caro:la famiglia.

nda _Questi ed altri racconti veri e colorati dalla fantasia popolare non possono andare perduti, raccontati dai nonni verranno trascritti per dare lustro ad una civiltà contadina povera di mezzi e ricca di valori ed il “lavoro e la famiglia “li rappresentavano in toto_.

 

 

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