Bussai delicatamente ma con insistenza. Ero leggermente in ritardo. Anna aprì la porta e mi sorrise. Poi mi chiese se fossi in ritardo ed io annuii e mi scusai.
“Non è un problema” disse. “Piuttosto se gradisce del tè metto l’acqua sul fuoco. Vuole anche dei biscotti che ho fatto proprio oggi?”
“Grazie” risposi e mi sedetti nella poltrona accanto alla finestra.
Anna sistemò la teiera sul fuoco e prese a camminare nervosamente su e giù per la stanza, in cui entrava ancora un tenue raggio di sole. Era pomeriggio tardo e l’ora in cui l’assaliva una tristezza infinita, ogni volta che Alberto non fosse lì con lei, perché preso dal lavoro, dalla palestra o dai suoi amici. Era molto innamorata di suo marito. Erano sposati da circa due anni e lei lo seguiva ovunque, grazie anche al fatto di non avere figli. Anna non poteva non pensare ad Alberto, quando il marito era occupato. Non era però così al centro delle sue attenzioni, quando Alberto era con lei. In effetti, era chiaro anche a lei che il suo era più bisogno di presenza che di compagnia, ma questo non le sembrava un problema. Erano sposati per stare assieme, riteneva lei, non per lavorare insieme o per salvare l’umanità. Forse anche per crescere dei figli, ma questi non avevano ancora acquistato un biglietto per il volo con la cicogna. Prima o poi, pensava Anna, un figlio l’avrebbe tenuta più occupata e portato via quel senso di solitudine che a volte s’impossessava di lei.
“Allora, ha letto il libro che le ho lasciato la scorsa settimana?” dissi, iniziando a gustare i deliziosi biscotti al burro che perfettamente sposavano il gusto poco sapido del tè.
“Sì, ho iniziato a leggere, ma non l’ho trovato così interessante e quindi ho smesso dopo alcune pagine”. “Sa qual è il problema? Voi uomini, e così anche l’autore di quel libro, non capite come si sentono le donne quando sono sole. Noi donne non sopportiamo la solitudine. Abbiamo bisogno di attenzione. Vogliamo essere osservate, ammirate, protette … sì, anche coccolate. Un po’ come i bimbi fanno con i loro giocattoli preferiti. Io sento questa perenne necessità di essere all’attenzione di Alberto, sotto il suo sguardo.”
“Cosa le piace sentirsi dire?”
Anna guardò al di là del vetro, fissò l’orizzonte, che nel frattempo era diventato di fuoco, e sorrise. “Cosa vuole che mi piaccia? Quello che piace ad ogni donna. Frasi del tipo ‘sei particolarmente bella, oggi’, ‘quel taglio dei capelli ti dona proprio’, ‘hai fatto la scelta giusta con quelle scarpe’, cose così, no? Noi donne siamo fatte per essere piacevoli allo sguardo, non crede?”
Rimasi a guardarla per qualche secondo. In effetti, non aveva tutti i torti. Anna era bella, ma il mio dovere professionale m’imponeva di guardarla dentro e non fuori.
“Qual è l’ultimo libro che ha letto, prima del mio prestito?” le chiesi.
“Non ricordo. Forse ‘Memorie di Adriano’ o forse ‘L’ignoranza’, ma fu tanto tempo fa, prima che mi sposassi. Dopo il matrimonio, mi son dedicata molto di più a me stessa, per piacere ad Alberto”.
“Al suo aspetto esteriore” dissi, con tutta la naturalezza di cui ero capace.
“Sì, certo, al mio aspetto esteriore.” Poi riprese a fissare l’orizzonte, ormai sempre più spento e, con lo stesso colore, continuò “Ma, sa, nella vita ci sono delle fasi ben precise: quella del gioco, sotto la supervisione dei genitori; quella dei sogni, nella quale la lettura di qualche libro aiuta la nostra fantasia; poi quella dell’amore, in cui la bellezza è molto importante. Ecco perché sono attenta al mio aspetto esteriore. E sono attenta a quanto sono attenti gli altri, ed in particolare mio marito, al mio aspetto esteriore. E’ naturale, no?”
“Naturale” risposi. E guardai anch’io l’orizzonte, sempre più scuro nelle sue tonalità violacee e blu.
Intanto, continuavo a disegnare pupazzi nel mio tablet. Avevo l’impressionante certezza che, da quando i talk-show si erano moltiplicati su tutti i mezzi di comunicazione, passando dalla TV ai social, fino ad entrare nelle case attraverso le presenze olografiche, l’oggetto del pensiero umano fosse in qualche modo guidato, alimentato in direzioni ben precise. Ad esempio, quel talk-show che parlava di matrimonio e di coppia sulla rete ‘Familia’ non faceva altro che focalizzare su due semplici aspetti: la bellezza della donna e la ricchezza dell’uomo. Erano anni che questi argomenti rubavano l’attenzione dei giovani. Gli uomini erano sempre più attenti al denaro e le donne attente alla bellezza. E su queste basi si erano sviluppati alcuni settori satelliti. Ad esempio, quello cosmetico e chirurgo-plastico per le donne e quello del gioco d’azzardo per gli uomini. Sembrava che sul pianeta non ci fosse alcun futuro culturale. Poi c’eravamo noi, un esercito di psicologi che doveva garantire la stabilità dei nuclei sociali, a partire dal singolo essere umano, per proseguire con la coppia, la famiglia, il condominio, il quartiere, e così via. Naturalmente, le comunità e le architetture si erano sviluppate in verticale, per una questione di comodità logistica. Anche perché, in questo modo, si evitavano le emissioni inquinanti che anni prima avevano quasi avvelenato irrimediabilmente alcune città dell’Asia.
Il colloquio tra me ed Anna continuò per un po’. Da un lato, Anna era perfettamente in linea con uno degli stereotipi approvati dal Sistema. Il mio controllo periodico non poteva che confermarlo. Anna era la donna perfetta, nella sua fase post-matrimoniale e pre-maternale, occupata coi suoi pensieri di moglie amorevole e le sue credenze ineccepibili sui suoi doveri. Dall’altro lato, tutto questo non mi piaceva affatto, e questi miei pensieri non mi piacevano ancor di più, perché estremamente pericolosi e forieri di terribili inquisizioni da parte del Sistema. Così, annegando il mio disgusto nella formalità più dolce e serena, salutai con garbo Anna, per dirigermi velocemente al piano 69.
Il racconto prosegue con L’ascensore – Alessandro e il rimorso
by