Un mattino come un foglio bianco
che per una volta cercò di scrivere
di suo, senza interferenze del caso
o di quell’intrusa incognita
che si chiama destino.
Programmò percorso, incontro, acquisto e luogo
ci mise un punto fermo
e poi uno esclamativo
perché quello era un comando
e non una remota possibilità.
Fu necessario
che per una volta
dovesse imporsi alla sua vita
che da tiranna dettava l’agenda
e da tanto non regalava più allegria.
Quel giorno era improrogabile
doveva spingersi oltre
e risvegliare
la primavera latente
della sua esistenza.
Una doccia rigenerante
come pioggia di marzo
e un nuovo vestito colorato,
una gonna alle ginocchia
la camicetta di seta bianca
le scarpe che le piacevano di più
e qualche goccia del profumo
di una rinnovata età.
Niente di eccentrico
a parte quell’ostinato sorriso
per una giornata come altre
che avrebbe assunto
l’aspetto dell’intima gioia
l’incontenibile felicità
che si scontra con vecchie domande
in giorni lontani dalla solita domenicale
per carpire quella spettinata e irrepressa
del bimbo che mangia il gelato
e sporcandosi non pensa a nulla
solo a lasciarsi indelebili macchie di felicità
sulla propria vita.
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