Erano stati giorni da scordare
aprire e richiudere gli occhi nella scatola che toglie il respiro
nella luce lunare
d’una stanza asettica
a testarti sul petto
in cerca di chissà quale male
Tamburo stanco
batteva il cuore
a dispetto dei dubbi
tracciava il ritmo solito
piano, forte, poi ancora piano
Aprir la finestra come un libro
uno nuovo
profumato ancora di stampa.
Era sempre bello da leggere il mondo fuori
con occhi e parole stese
nelle vignette delle nubi da comprendere
Non era ancora giorno
non era ancora fretta
sospeso il tempo
incerto
tra temporale e bonaccia
Anche la fioriera esponeva il suo bene
e dal marciapiede al davanzale
la mattina regalava
il profumo inebriante di caffè
riverso sulla strada che
trasporta il domani
Il domani o l’adesso
qui ed ora
da leggere
e rubare
all’attimo in fuga libera
Dischiudere frasi
tenute in mente da tempo
cantarle in un giorno figurato
quando non costa nulla spendere
l’ultimo sogno gentile
staccato al calendario
E smetter l’inutile corsa a ritroso
di anni, come bicchieri vuoti in plastica pura
che parevano cristallo
Rifuggire e salvarsi la pelle
tra ginocchia
che confortano
senza inutili paranoie
e smussano angoli
col sorriso soltanto
fortuna esserci, lì, subito
Momenti
col tempo tra le mani
a ridar un senso
un verso
un motivo di bellezza
ad un giorno qualunque
Patinato nero su bianco
piano
forte
come la vita impaginata
in un libro inedito
riscritto e trascritto
di cui ciascuno è autore
e non attore
Lasciar traccia
e scandire il suono
piano forte e poi
piano ancora
a voce bassa o con gli occhi lucidi
come chi legge amore per la prima volta
E ruba nelle frasi
il significato più vero
da far vivere fuori dalle pagine
dalle righe
dalla irrealtà reale di una tipografia
o di quel cinema a tempo pieno
che è la vita
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