Ero molto piccola quando vidi per la prima volta il film. Ambientato in un’America già molto lontana dall’apartheid, sembrava avesse superato i suoi stessi limiti d’integrazione e proponeva invece un’improbabile perplessità verso i matrimoni misti, che non sono quelli gender di questi nostri confusi tempi, ma semplicemente quelli tra persone di colore diverso. Cosa peraltro che mi è sempre sembrata meravigliosa, una specie di cappuccino fatto persona, da me immaginato come il massimo livello dell’umana fratellanza.
E’ così diventata crescente una mia petulante domanda retorica, quella della diversificazione delle persone attraverso il colore della pelle, e di quanto sia importante il grado di saturazione cromatica che induce uomini solitamente ragionevoli e pacati a mutarsi camaleonticamente in gestori intransigenti dei rapporti umani, negandosi tuttavia nella maniera più assoluta ogni forma di discriminazione seppur evidente.
Vorrei capire davvero e in tanti anni non ci son riuscita, quale strano meccanismo o potere ne trasformi l’indole nei fatti docile e quasi servile e li induca in un moto di ribellione e sdegno a sentirsi padroni della terra, della libertà di altri esseri, tanto da pensare a respingimenti e barriere salvifiche, per circoscrivere il proprio orticello, immemori di quanto molto miseramente nessuno abbia in tasca, nella migliore ipotesi, poco più di cento anni di vita, nel biglietto scadenzato della permanenza sul pianeta.
Star del nostro tempo rivendicano confini, in nome dei padri, dei nonni e perfino di antichissime civiltà oriunde, di cui in realtà non sanno nulla e che per certo furono anch’esse provenienti da terre diverse, conquistatori o conquistati di nuovi orizzonti, nel moto perpetuo di persone ed elementi, caratterizzante l’evoluzione stessa e di quanto rotei e si trasformi , si avvicini o si allontani, nostro malgrado o per nostra scelta, sulla Terra.
Prendere le distanze da paure ancestrali che il diverso porti malattie, morte e catastrofe (il che potrebbe anche esser possibile), pensando solo a quanto il nostro dissimile potrebbe fare di negativo verso noi o verso chi tentiamo di proteggere, facendo finta d’ignorare. Ed è un lucido dato di fatto che le peggiori tragedie avvengono in famiglia, tra persone che si son scelte e forse anche amate, figlie della stessa patria, dello stesso paese e del medesimo colore.
Scindere se stessi dai propri preconcetti può farci bene o, perlomeno, può non nuocere ad altri e delimitarne il viaggio, verso quanti pensano che l’accoglienza e l’integrazione siano un valore aggiunto e la convivialità un atto di grande generosità e progresso per il genere Uomo, che chiamare Umano riesce sempre più sovente difficile, visto il grado d’inciviltà verso cui precipita in una retrocessione progressiva di chiusura e sospetto, che si incarna nel razzismo. Ma dirglielo li offenderebbe.
Quindi non sono razzisti, ma diversamente ospitali, diversamente aperti al prossimo, povero ed esule dalla terra d’origine, dalla quale fugge per motivi che sono fin troppo evidenti, e che bonificare da guerre intestine e di predominio è arduo mentre si consumano genocidi, violenze e indicibili prevaricazioni. Credo che il fratello esule vada accolto ovunque sia possibile e se questo è definito buonismo, molto poco importa.
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