Casta Diva è un semplice spunto di riflessione e non un contrasto generazionale.
Un aggettivo alquanto desueto, così “vintage” da non essere pronunciato quasi più, in un contesto moderno, anzi avanzato dove la sessualità viene ostentata anche in maniera ossessiva fin anche patologica. Esondata sui “social”, dove stagna la più volgare e squallida pornografia.
Trovo perciò improbabile abbinare l’aggettivo “casta” ad una signorina d’oggi, ne resterebbe offesa, come quando si dava della “zitella” ad una donna di qualche anno fa, che modernamente si fa rigorosamente chiamare “single”.
Specie al Sud, la castità nella sua profonda accezione e concezione era considerata un valore fondamentale, una specie di integralismo morale, vietava ogni forma di effusione che comprendesse la sfera sessuale intima. Il fidanzamento era vissuto con veti e proibizioni implicite che in qualche modo alimentavano la passione (almeno fino al matrimonio).
Era una castità che intendeva anche un certo tipo di linguaggio e capacità di tener fede a principi, che trasformava piccole donne, nelle caste dive che furono le nostre madri (quella mia degli anni ’70).
Caste nel modo di vestire, intime dive della propria casa e nella propria famiglia.
Tornano alle mente con nostalgia, non perbenismo di facciata. Semmai con la consapevolezza e l’importanza dei valori. Perdutisi, banalizzando l’atto sessuale come una qualsiasi altra azione tipo bere e mangiare, in un uso smodato che lo ha svilito del valore umano e del pathos ancestrale che lo rendeva momento magico.
Un “femminismo” degenerato ha destabilizzato anche il modo maschile di guardare alla donna, che s’è liberata da luoghi comuni collocandosi in una nuova immagine forse più libera ed indipendente, ma fortemente subordinata al sesso.
Se questa è una scelta generazionale va rispettata di certo, ma forse anche la parola “rispetto” è desueta per chi di libero non ha il pensiero ma solo il corpo e … volutamente la ignora.